Sei lezioni di economia per formare le conoscenze necessarie per capire la crisi dell’euro.
Ho scelto questo libro su consiglio di Roberto Chiappi. Dopo avere tentato invano di leggere Piketty, credevo che non avrei mai potuto migliorare le mie conoscenze di economia. “Sei lezioni di economia” scritto da Sergio Cesaratto è una lettura davvero “divertente”, se si può usare questa vicino a “economia”. Cesaratto, oltre ad insegnare economia tiene anche un blog nel quale riporta alcuni dei concetti che ho trovato nel suo libro.
Prima lezione: cos’è il sovrappiù
Questo l’ho capito: grazie al fatto che ci sono persone che sono in grado di produrre più di quanto gli serve per vivere, ce ne sono altre che possono dedicarsi al “sovrappiù”. Canto, ballo, e lezioni di economia!
la terra nutre molti più uomini di quanti che occorrono per coltivarla. Di qui la gente oziosa; di qui le città […] dall’emergere del sovrappiù, dunque di una classe di politici e di pensatori, e non viceversa […] nasce lo sviluppo economico.
Quindi l’innovazione e il benessere derivano dal fatto che qualcuno riesce a produrre anche per gli altri. E questo è un bene? In realtà questo è un bene se tutto ciò che produco in più viene consumato da qualcun altro. Secondo la “legge di Say” l’offerta crea la propria domanda, ma ho capito che non è proprio così.
Seconda lezione: l’economia marginale
Qui un po’ più difficile: si parla di economia “classica” in cui il margine, differenza tra domanda e offerta, tenderebbe ad un equilibrio “naturale” guidato dal mercato. Per i marginalisti chi non lavora lo fa perché vorrebbe un salario più elevato di quello di equilibrio, quindi per scelta. Secondo le lezioni di economia, questo equilibrio naturale è un’utopia. Secondo me qualcuno qui si potrebbe imbestialire.
Terza lezione: conosciamo il signor Keynes
Keynes fu un grande critico della teoria classica economica. Le politiche del secondo dopoguerra sono definite keynseniane:
Tutti sanno che al cuore delle politiche keinseniane v’è l’impiego della spesa pubblica per sostenere l’economia. […] i governanti sanno bene che, se il popolo freme perché non ha lavoro , sarà bene impiegare un po’ del sovrappiù per costruire piramidi e acquedotti.
Io non conoscevo questo signor Keynes ma, se è quello che ha teorizzato il piano Marshall che ha generato il boom economico, mi sta simpatico.
La teoria è che la spesa per i beni di consumo genera ulteriore produzione e redditi, e di conseguenza nuovi consumi e risparmi e così via.
Quarta Lezione: la moneta
Difficilissimo: qui Cesaratto ci spiega i meccanismi che regolano Banche, prestiti, titoli… prof mi giustifico!
Quinta lezione: la congiuntura più lunga
Breve storia economica italiana. Dalla metà degli anni ’60 il declino. Finisce il Boom economico, le ripresa viene avvelenata da
la gara tra DC e PSI nell’occupare centri di potere, corrompendo quel motore di modernizzazione industriale che furono le Partecipazioni Statali, le imprese pubbliche industriali e bancarie sino ad allora guidati da lungimiranti commis d’Etat.
Cesaratto riporta anche l’esempio dell’occasione perduta con la cessione del settore elettronico dell’Olivetti. Quando l’Italia perse l’opportunità di anticipare la terza rivoluzione industriale.
Tra le cause del perdurare della crisi la Germania. Pare proprio così: con la sua politica “mercantilistica” produce senza consumare, inonda il mercato coi suoi prodotti e costringe tutti all’austerità.
Sesta Lezione: Dragonball
Si avete letto bene Draghi-Dragonball è l’unico che ha voluto salvare l’euro contro il volere della Germania.
Adottando politiche di supporto agli stati. Draghi sostiene che
I rischi di fare “troppo poco” – dunque che la disoccupazione diventi da ciclica a strutturale – oltrepassano quelli di “fare troppo” – cioè quelli di un’eccessiva pressione verso l’alto sui salari e prezzi.
Secondo Cesaratto la lentezza della BCE e il suo rifiuto di politiche fiscali e monetarie coordinate ha creato lo sfascio!
Seguono approfondimenti su Quantitative Easing, Target2 ecc.
Perché leggerlo
Beh si mi ha incuriosito, ora ho voglia di capire meglio come funzionano le politiche monetarie, ed ho qualche riferimento per orientarmi nelle questioni economiche. Lo stile del professor Cesaratto aiuta anche una come me ad arrivare volentieri in fondo al libro. Ho capito che, contrariamente a quanto credevo l’economia non è una scienza esatta. C’è una grande parte di storia, aspettative, scienze sociali. E forse, questo Natale, potrò capire il finale di “Una poltrona per due“.Non mi resta che augurarvi
Buona lettura
Ciao Angela,
Due piccole note giusto per approfondimento.
Keynes era pienamente americano, era addirittura figlio d’arte essendo il padre a sua volta un economista dell’università di Cambridge, dico questo per far capire quanto egli fosse radicato nel pensiero liberale. Questa è spesso un’informazione che viene trascurata, e si finisce per far passare le teorie Keynesiane quasi per socialiste…. cosa assolutamente falsa, il vero pensiero Keynesiano affonda le radici nel liberalismo, non nel liberismo (anche se queste definizioni in USA non esistono). Keynes propone di affiancare la mano pubblica all’economia di mercato per compensare i periodi di bassa crescita o depressione con politiche anticicliche che solo lo stato potrebbe fare. Egli non propone ne suggerisce di creare “business” pubblici, che una volta passate le crisi si porrebbero da antagonisti nell’economia di mercato, egli punta sui lavori pubblici, dicendo che lo stato deve occupare i periodi di stasi del mercato per creare, migliorare o rigenerare le infrastrutture utili al mercato e con questo porre contemporaneamente un freno alla disoccupazione e alla caduta dei salari.
Da questo punto di vista, in Italia la teoria Keynesiana non è mai stata applicata, mancando nel nostro paese quasi completamente una vera economia di mercato ovviamente la teoria non può trovare applicazione. Purtroppo viene citato a sproposito un pò dappertutto per giustificare interventi pubblici pesantissimi che in America (dove invece tale teoria è il pane quotidiano) verrebbero immediatamente rigettati.
Esperienze come la vecchia IRI nostrana, o l’attuale ENI, in un’economia Keynesiana non potrebbero esistere, in quanto business pubblici non temporanei che interferirebbero con il libero mercato.
E questo è anche il motivo per il quale l’Italia ha concluso il suo miracolo economico negli anni ’70 avviandosi poi verso il declino, la politica Italiana non ha saputo interpretare il segno dei tempi, l’economia aperta e di mercato che ha dominato il ‘900 (e da questo punto di vista le politiche Americane e Keynes sono indubbiamente i vincitori), qui da noi non ha mai attecchito, ma non per questo è stata sconfitta, anzi, la politica nostrana (e gli industriali Italiani va detto…) non hanno capito che l’economia di mercato è fondata sulla crescita e quindi se un paese non la coltiva dall’interno è destinato a esserne divorato dall’esterno.
In questa chiave, dismettere le aziende pubbliche tra gli anni ’80 e ’90 era giusto, perchè economicamente gli investimenti pubblici nel business deprimono l’iniziativa privata, il problema è che non si è fatto il passo logicamente conseguente, cioè quello di creare le condizioni (politico-economiche) per una ripartenza dell’economia di mercato dall’interno, infatti in Italia non esistono gruppi internazionali di rilievo che siano stati creati tra gli anni ’80 e oggi.
Saluti
Ciao Emanuele, grazie per la tua precisazione su Keynes. Può darsi che io abbia male interpretato. Sono d’accordo con te che la mancanza di crescita sia uno dei nostri problemi, insieme all’illegalità diffusa. Credo anche che dipende da ognuno di noi far si che le cosa cambino…in meglio!
Sicuramente ho ancora molto da imparare e i vostri commenti e suggerimenti sono davvero utili!
Condivido …………l’economia di mercato è fondata sulla crescita e quindi se un paese non la coltiva dall’interno è destinato a esserne divorato dall’esterno.
Il problema dell’economia italiana che fino agli anni 80 tutta la generazione dei nuovi imprenditori venivano da una formazione e tradizioni di elevato spessore tecnica artigianale e perfetta simbiosi tra manualità e creatività, nel frattempo le multinazionali, le grandi industrie incalzate dal controllo politico anticomunista ha addomesticato delle tigri come il mezzogiorno dIitalia per avere il controllo dei voti sull’equilibrio politico del paese, la mafia e i politici appoggiati da ingenti finaziamenti americani hanno gestito e gestiscono tuttora una portafoglio di voti che pesano sulla crescita del turismo e della micro imprenditorialità del mezzogiorno. Con la caduta del muro di Berlino e la fine dell’incubo comunista tutte le aziende americane si sono sfilate e i finanziamenti sono stati dirottati nell’asia per contrastare l’impero comunista cinese, l’Italia è rimasta in mano alla politica corrotta e interconnessa con i sistemi malavitosi del mezzogiorno, le stragi di Falcone e Borsellino sono state perpetrate perché avevano letto tali collegamenti di intreccio tra politica e malavita. Il controllo delle assunzioni in tutte le strutture pubbliche ha generato una classe di “dipendenti” che agiscono a comando nel determinare e mantenere il potere economico di una classe di imprenditori di servizi e infrastrutture che agiscono generando sistemi di oligopolio. Il problema che ora ci troviamo una generazione di giovani che nessuno pensa di diventare imprenditore, anche di una piccola struttura artigiana come si fa incentivare la creatività Italiana quando un lavoratore autonomo o dei piccoli imprenditori rischiano la sopravvivenza della propria e della lora famiglia se non ce un riconoscimento economico e morale del loro contributo nella sopravvivenza economica di una azienda che il suo core business era il trasformare la materia prima in prodotti di alta qualità e tecnologicamente avanzati.
L’Italia è ridotta come una famiglia dove il 70% dei figli amministra il 30% dei fratelli operai come fa a competere con il resto del mondo, come fa a sopravvivere un’azienda dove non viene investito nulla sulla ricerca, sulla tecnologia avanzata ma soprattutto una struttura politica che permette di guadagnare e aiuta i veri imprenditori di poter avere dei redditi sufficientemente remunerativi da generare un indotto di domanda di mano d’opera ma soprattutto di ritornare leader in prodotti di qualità e innovativi che ha generato il boom degli anni 60.
Nessuno pensa quanto energia economica viene assorbita dal settore manifatturiero per mantenere una filiale di una banca? Quanti operai e imprenditori devono pagare del proprio reddito per permettere di liquidare dirigenti di strutture ex pubbliche con liquidazioni milionarie quando, un imprenditore medio è più facile che fallisce per soccombenza fiscale e burocratica che avere una vecchiaia sufficientemente agiata dopo aver generato decine o centinaia di posti di lavoro?
Se uccidiamo la nostra capacità imprenditoriale creativa l’Italia diventerà una giungla con suddivisioni in caste come in India……… dove il 90% delle persone vivrà alla giornata………senza futuro e serena convivenza tra le persone………………….svegliamoci.
Diciamo che senza le distruzioni della guerra in Europa e segnatamente in Germania (principale concorrente commerciale) il sig. Keynes le sue teorie se le poteva mettere in … quel posto.
Il capitalismo, da quando esiste e in particolare quello USA non fa altro che guerre per risolvere le proprie crisi di sovrapproduzione. Piuttosto che distribuire equamente il prodotto preferisce distruggere prodotto e produttori con le guerre per rilanciare una nuova fase di accumulazione. La II guerra mondiale fu la diretta conseguenza della crisi di Wall Street degli anni ’30 e le dittature Europee che dettero il pretesto furono coltivate dai magnati della finanza Ebreo-Americani. Il lapsus freudiano che dice tutto è il paragone Saddam-Hitler. Per noi non ha senso, invece per i liberisti USA è la stessa cosa. Coltivi un tiranno e poi lo colpisci per avere il pretesto di una guerra che serve solo ad accaparrarsi le risorse di un Paese.
Imperialismo, capitalismo, comunismo… il potere in mano di pochi spesso (sempre?) diventa prevaricazione. Possiamo tentare di creare una cultura del bene maggiore anziché del male minore?
Leggere libri di economia è assolutamente indispensabile per capire e comprendere il mondo che viviamo.
Purtroppo ogni teoria economica, oltre a non avere criteri rigidi e risultati certi, viene tirata di qua e di la per avvalorare le proprie tesi in politica. Detto questo, a mio avviso, per farsi delle idee e poi confrontarle con la realtà è necessario leggere molto, partendo dai classici. Questo serve ad evitare una deriva di moda in questi anni, l’economia spiegata agli adepti o ai potenziali tali.
Grazie del commento. Hai qualcosa da suggerire in particolare?