“Che cosa sa fare l’Italia” – Analisi dell’economia Italiana dopo la grande crisi del 2008
Spesso il sabato mattina mi fermo a prendere una spremuta o un caffè alla “Libreria Alzaia“. Sono stata attratta da questo libro mentre vagavo in libreria. Curiosa di approfondire le cause della crisi del manufatturiero in Italia.
Nei miei vent’anni di carriera nella meccanica Italiana, ho visto tante aziende barcamenarsi tra mobilità e cassa integrazione e infine chiudere.
La Richard Ginori ad esempio, storica azienda di Sesto in piedi dal 1735, cresce agli inizi del secolo scorso, anche grazie al genio di Giò Ponti. Negli anni duemila entra in una crisi che la porta al fallimento. Oggi esiste grazie all’acquisizione da parte del gruppo Gucci del 2013.
Perchè gli altri paesi sono riusciti a uscire dal baratro, ma non l’Italia?
L’analisi di Giunta e Rossi è davvero interessante, le cause principali:
La dimensione familiare delle aziende Italiane
Non sapevo che anche la Germania ha moltissime aziende familiari, la differenza sta nel fatto che in Italia i manager a capo delle varie funzioni aziendali provengono dalla famiglia.
La radice del problema secondo gli autori è quindi il “Familismo“:
L’anomalia risiede nella maggior frequenza con cui da noi le imprese familiari affidano posizioni dirigenziali a componenti della famiglia. Vi sono elementi per ritenere che, almeno in certe realtà, questo danneggi sai la performance dell’azienda, sia soprattutto la sua capacità di cogliere le opportunità di cogliere le opportunità necessarie per compiere un salto dimensionale quando queste si presentino sul mercato.
Con un numero medio di addetti pari a 9 sono aziende poco propense alla crescita internazionale o ad investire in Ricerca & Sviluppo.
I “Fattori Abilitanti”
Anche l’ambiente in cui le aziende operano in Italia è un limite alla crescita e alla produttività:
L’ordinamento giuridico bizantino, la bassa legalità e l’inefficienza della pubblica amministrazione in Italia, sembrano lì apposta per ostacolare la crescita delle aziende e scoraggiare potenziali investitori stranieri.
Il basso livello di istruzione, il fallimento della laurea breve, il sistema educativo che non riesca a stare “al passo” coi tempi è un altro problema. I dottorati di ricerca non sono riconosciuti da molte aziende nostrane. I nostri migliori talenti emigrano all’estero: non siamo in grado di attrarre personale specializzato.
E’ una stortura anche il sistema di investimenti in Italia legato alle banche, la mancanza di “investitori” con propensione al rischio d’impresa.
Ricordo una discussione tra un avvocato brevettuale e il presidente di una delle aziende in cui ho lavorato:
Presidente: Come faccio ad essere sicuro che, quando creo un nuovo prodotto, i concorrenti non mi citino per aver copiato il loro design?
Avvocato: Non può esserne sicuro, questo è il rischio d’impresa.
Spesso i nostri imprenditori sono poco propensi al rischio e hanno timore di crescere. Questo è un limite culturale alla crescita della manifattura italiana.
L’artigianalità
Ma quindi cosa sappiamo fare davvero?
Siamo flessibili, bravi e creare prodotti tagliati su misura per i nostri clienti. Poliform, azienda che produce “su misura” usando macchinari di ultima generazione è esemplare da questo punto di vista.
Credo che le imprese debbano trovare il modo di sfruttare la flessibilità di noi italiani, e l’amore per il bello, in modo produttivo.
Lo stato dovrebbe smettere di difendere gli interessi locali e guardare al bene comune. Un paese che funziona è benefico per tutti!
E voi che ne pensate?
Buona Lettura!
Bellissimo sito e bellissimi i libri suggeriti dalla nostra esperta Angela, e questo libro sia avvicina anche alla grande fuga di cervelli dall’Italia.
Grazie Luciano, spero di riuscire a ispirare al miglioramento. In tanti si arrendono e si lasciano semplicemente trasportare. Credo che un mondo e un’Italia migliore sia possibile. Capiamo i nostri pregi e sfruttiamoli!
Angela
Io credo che il problema attuale dell’Italia sia la denatalità. Pur apprezzando gli sforzi di quelli della mia generazione ormai troppo vecchi e carichi di delusioni, ma che tuttora resistono, devo ammettere che la mancanza di imprenditorialità sta nella mancanza fisica di giovani atti allo scopo. Gli Adriano Olivetti non nascono tutti i giorni e in una popolazione giovane diminuita di numero, la probabilità scende drasticamente. Forse sarà proprio grazie ai “nuovi italiani” che potremo vederne sorgere qualcuno. Anche il saldo passivo tra giovani di sesso femminile e giovani di sesso maschile ha contribuito a ridurre le nascite e quella trasmissione di saperi “di padre in figlio” che era la forza della realtà lavorativa italiana. E l’iperspecializzazione di derivazione USA ha dato il colpo di grazia alla creatività. L’Italiano non è fatto per i team rigidamente controllati. l’Italiano lavora da Dio quando non ha catene. e di catene, nei 43 anni del mio lavoro ne ho dovute spezzare tante. L’unica catena che non ho potuto spezzare è stata la carenza di risorse economiche che premiassero adeguatamente il lavoro mio e dei colleghi. Sono ormai più di 35 anni che non nascono nuove aziende per iniziativa di progettisti e capi-reparto. Iniziative distrutte sul nascere da stipendi inadeguati.